domenica 30 gennaio 2022

Eravamo Basilischi e mica lo sapevamo

Parto subito con un disclose. I Basilischi non e’ stato il mio primo film dell’anno. Il primo film che ho visto nel 2022 è stato questo ma mi sembra già di averne parlato abbastanza. Quindi passiamo all’esordio alla regia della Wertmüller.

Ho sentito parlare per la prima volta di questo film dopo la morte della regista a Dicembre. La mia conoscenza della sua filmografia si limitava alla trilogia con Giancarlo Giannini (Pasqualino Settebellezze, Mimi’ Metallurgico e Travolti da un insolito destino) e al bonus track di Io Speriamo che me la cavo che non ricordavo neanche fosse suo.


Non ne ero pienamente convinto ma, quando l’ho sorprendentemente trovato su Amazon Prime, gli ho dato una possibilità. Dopo 5 minuti ero persuaso: non ho fatto in tempo a godermi i titoli di coda sulle note di Ennio Morricone che è partita una descrizione fenomenale della controra. Prendetevi qualche minuto e poi mi fate sapere.


In rete si trova tanto materiale. Tra i tanti articoli segnalo le riflessioni di Antonio Lamorte de Il Riformista scritte dopo la scomparsa della regista e mi limito ad aggiungere un paio di osservazioni.


Figlia di un avvocato aristocratico di origini svizzere, la Wertmüller era nata e cresciuta a Roma. Il padre era originario di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza che è anche una delle location del film. Leggendo l’articolo de Il Riformista, non posso fare a meno di pensare che il personaggio della amica della zia, affidato alla compagna di scuola Flora Clarabella, sia autobiografico. 



Nonostante avesse a disposizione la troupe di Fellini e le musiche di Morricone, il film è stato girato con un budget ridotto e molti attori non professionisti, compreso uno dei due protagonisti, Antonio Petruzzi. Sembra che i Basilischi sia stato il suo primo ed ultimo film e che fosse presente al funerale della Wertmuller, 59 anni dopo.



lunedì 24 gennaio 2022

La bella tartaruga (lascia che a correre pensiamo solo noi)

Quando sono sceso a Napoli nel periodo tra Natale e Capodanno, ho rivisto il Minollo. Un caro amico con cui ho condiviso un pezzo di cammino, che vorrei vedere più spesso ma che, anche a causa di una pandemia, non vedevo da oltre un anno.

Passiamo una piacevole serata con le nostre famiglie. Ci beviamo un fatto, ci mangiamo una cosa e ci facciamo na chiacchiera. Mentre torniamo a casa in auto la radio viene ovviamente monopolizzata dai più giovani e ci ritroviamo a cantare anche questa canzone:


Ad essere sinceri la canzone non mi era rimasta in testa fino a quando, qualche giorno dopo, mio figlio ha iniziato belloebuono a cantare “La beeeellaaaaa tartaaaaarugaaaaaaa…”


Dopo qualche secondo in cui non riuscivo a ricordare dove avesse sentito quella frase, ho avuto l’illuminazione e da allora è stato un inarrestabile successo. In casa “La Tartaruga” di Lauzi è la canzone più ascoltata di questo inizio 2022 ed è entrata nella lista delle richieste di Gennarino assieme al Coccodrillo come fa e Baby Shark.


Non escludo che sia l’effetto della paternità ma dietro la metafora della tartaruga mi sembra di cogliere quella bellezza leggera come lo zucchero a velo che copre alcune opere per bambini. Insomma ormai piace anche a me e stamattina, dopo averla ascoltata per tre volte di fila, ho pensato a come il Minollo sia riuscito, in un lasso di tempo molto limitato, a influenzare i gusti musicali di Gennarino cosi come, a suo tempo, aveva influenzato i miei. Ripeto, non escludo che sia l’effetto della paternità, ma mi è venuta in mente la famosa citazione di Pessoa:


O valor das coisas não está no tempo que elas duram, mas na intensidade com que acontecem. Por isso existem momentos inesquecíveis, coisas inexplicáveis e pessoas incomparáveis.



PS: Il buono proposito di quest’anno continua a darmi soddisfazioni. Per scrivere queste righe ho scoperto che il brano fa parte di un album per bambini assieme alla mitica Johnny Bassotto cantata da Lino Toffolo e fu scritto assieme al Maestro Pippo Perché Sanremo è Sanremo Caruso e Pippo Baudo. Insomma Bruno Lauzi potrebbe aggiungere altri pezzi alla playlist di Gennarino.




 

mercoledì 19 gennaio 2022

Due Vite (de vita, morte et amicitia)

Nonostante non conoscessi l’autore, volevo sfogliare questo libro da quando, spinto dalla vittoria del Premio Strega 2021, ne avevo letto la sinossi. Il libro non era disponibile su Kindle ma lo avevo aggiunto alla mia to-read list e l’ho comprato nel periodo di capodanno a Napoli.

Emanuele Trevi racconta di Rocco Carbone e Pia Pera, due amici scomparsi troppo giovani, e lo fa con uno stile leggero, delicato, senza cadere nella retorica o nel sentimentalismo. Non è un romanzo ma una breve riflessione. Se fosse stato un libro in latino, si sarebbe intitolato “de vita, morte et amicitia” 

I suoi amici sono morti nel 2008 e nel 2016 e Trevi scrive nel 2020. “I nostri amici sono anche questo – scrive sul legame a doppio filo tra tempo ed amicizia – rappresentazioni delle epoche della vita che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembravano lontanissimi, rimanendo sempre più soli, non riuscendo ad intuire nulla dello scoglio dove toccherà a noi, una buona volta, andare a sbattere” 

Con il suo gesto d’amore, Trevi cerca di allungare la memoria degli amici. Lo spiega chiaramente quando scrive che “noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora noi davvero ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno” 

In effetti, quando pensiamo o sogniamo una persona scomparsa, proiettiamo noi stessi in quella immagine. Scriverne ci costringe a dare una forma ai sentimenti, a cristallizzare i ricordi e a combattere una paura: “come fiori di melo appena sfiorati dalla brezza, anche i ricordi di chi abbiamo conosciuto talmente bene che la consuetudine è diventata quasi un riflesso condizionato, si staccano e volano via con rapidità inconcepibile. Pensiamo di averne accumulati tantissimi, cosi numerosi e vividi da renderli inestinguibili – e invece in mano ci resta poco più di uno sfarfallio di immagini incerte e fuggitive.”



venerdì 14 gennaio 2022

La banalita' del bene

Natale 2021 l’ho passato per la prima volta in Ungheria. Ero in un piccolo villaggio equidistante da Budapest, l’Austria, il lago Balaton e la Slovacchia e quando nella mia lista ho visto questo libro, ho pensato che fosse quasi un segno del destino. 

Il giornalista Enrico Deaglio nel 1989 riesce ad intervistare Giorgio Perlasca che, ormai ottantenne, gli racconta tutta la sua storia, scatenando l’ammirazione del giornalista che decide di scrivere questo libro, dove viene descritta tutta l’intervista e i fatti narrati.

Il libro è stato pubblicato nel 1991 ed io l’ho colpevolmente letto solo oltre trent’anni dopo. In questi decenni l’incredibile storia di Giorgio Perlasca è diventata nota prima grazie a Deaglio e poi a Giovanni Minoli, che accettò la proposta dello stesso Deaglio di realizzare un'inchiesta su Perlasca durante la sua trasmissione televisiva Mixer. Da quel momento la vicenda sarà sempre più popolare in Italia fino a raggiungere l’apice nel 2002 con lo sceneggiato RAI interpretato da Luca Zingaretti.


Tutto questo per dire che è come se mi avessero fatto uno spoilerone e privato della meraviglia per questa storia incredibile. Tolto lo stupore, il libro è essenzialmente composto da l’intervista di Deaglio e dal diario di Perlasca durante quei giorni concitati. In sintesi, penso che se lo avessi letto negli anni ’90 prima di avere una connessione ADSL, il libro mi sarebbe piaciuto di più.


Nonostante sia arrivato fuori tempo massimo, sono contento di averlo letto per diversi motivi. 


Ho scoperto di essere uno dei pochi a non conoscere l’assurda storia di Raoul Wallenberg.


Giorgio Perlasca da giovane è stato un “entusiasta aderente al Fascismo” ma non di quelle copie sbiadite e grottesche che vediamo oggi in giro, quello originale spanish edition di Franco. Sapere che dopo quasi un secolo venga giustamente celebrato come un eroe fa riflettere su come le persone possano cambiare e sulle tante sfumature di grigio che possono esistere tra il bianco e il nero.


L’incontro tra Perlasca, Wallenberg ed Eichmann (raccontato nel libro ma anche a partire dal min 14:00 della puntata di Mixer) sembra un episodio di un film neorealista. Non credo ci sia molto da aggiungere se non quello che ha scritto Deaglio: “Giorgio Perlasca e Adolf Eichmann si incontrarono per una manciata di minuti, in una mattina di ordinario macabro trasporto di ebrei ungheresi verso Auschwitz. Fu un match breve, tra un calmo tenente colonnello delle SS contro un emozionato diplomatico spagnolo. Avevano più o meno la stessa età, uno aveva il potere e l’altro non l’aveva. Ma vinse quest’ultimo, che non era diplomatico e neppure spagnolo. Di questa storia che è rimasta così impressa nella memoria di Giorgio Perlasca, quello che a me piace di più è che ci fu una scelta. L’italiano vide due ragazzi gemelli ed ebbe uno scatto pensando che si poteva fare qualcosa per evitare che fossero uccisi. Il tenente colonnello tedesco forse non li vide neanche (me li immagino rannicchiati dentro la macchina) e, con un gesto della mano, li lasciò vivere. Per lui erano due numeri, non due persone. Un fatto statistico.”


Questa storia è stata acciuffata per i capelli. Fu presa da una riga del bollettino dei giusti d’Israele: Deaglio lesse di “un italiano che avrebbe salvato della gente” e lo intervistò nel 1989, la puntata di Mixer andò in onda nel 1990, Perlasca fu insignito dal governo italiano dell'onorificenza di Grande Ufficiale nel 1991 e morì nel 1992. Come ha detto Minoli: Oggi è un eroe nazionale e un fiore all’occhiello per tutti. Ma è anche un po’ martire, per via del silenzio in cui ha vissuto. Non è stato subito disponibile, abbiamo dovuto insistere per averlo. È stato anche faticoso farglielo raccontare, non si era mai sentito preso sul serio, aveva interiorizzato la tragedia, era troppo grossa da raccontare l’impresa, un po’ come dire “ho visto i marziani”, e lui li aveva visti davvero.


Quando Minoli gli chiede come vorrebbe che la sua storia sia ricordata, Perlasca risponde: “Vorrei che i giovani si interessassero a questa storia unicamente per pensare, oltre a quello che è successo, a quello che potrebbe succedere e saper opporsi, eventualmente, a violenze del genere, fisiche e morali”. Io non sono più giovane ma spero che questo libro possa essere letto da mio figlio durante la sua giovinezza.



lunedì 10 gennaio 2022

The Boys AKA The Cunts

Premessa

Uno dei buoni propositi per il 2022 e’ quello di scrivere di piu’. Ispirato da qualche amico che ha pubblicato la lista dei libri letti nel corso dello scorso anno, ho pensato di fare una cosa simile e scrivere una breve recensione dei libri, film, serie e album musicali del 2022. Non ho alcuna pretesa/aspettativa se non quella di costringermi a 1) approfondire un po’ quello che ho visto/letto/ascoltato 2) condividere le mie opinioni con amici al fine di avere qualche discussione costruttiva.


Fine premessa

 

Su consiglio di fratem Gigione, ho passato il periodo natalizio a guardare le prime ed uniche due stagioni di The Boys.

 

La serie e’ basata su un omonimo fumetto di una decina di anni fa e immagina una realtà in cui i supereroi esistono e lavorano tutti per una grande società, che li smista tra una città e l’altra e ne gestisce le uscite pubbliche e l’immagine, dai costumi alle interviste. Questa società sembra essere cattiva e i supereroi non sempre e non tutti buoni, anzi, ma le masse sembrano non averlo capito e continuano a venerarli. I “Boys” del titolo sono un gruppo piccolo e un po’ sfigato che cerca di far uscire la verità. 

 

È consigliata a chi trova intrigante l’idea di una sorta di dietro le quinte delle storie di supereroi, con un po’ di citazioni e ammiccamenti a tutte le storie di supereroi che conosciamo. (Fonte: Ilpost)

 

C’e’ tanta azione ma senza prendersi troppo sul serio. Una buona sintesi è il personaggio di William “Billy” Butcher e il suo cockney slang. Mi ha sorpreso scoprire che Karl Urban, l’attore che lo interpreta, è in realtà neozelandese. Nonostante il suo accento non abbia ingannato il pubblico britannico, per noi no-native speakers è stato bello perdersi in un mare di mate, love, lads and cunts (pronunciato in media 3.2 volte per episodio) intervallate da british expressions like “cup of char”, “drive me around the bend”, “you are a doll”, etc. 




 

La serie e’ una delle piu’ viste di sempre su Amazon Prime, ha ricevuto diversi premi tra cui 6 nominations agli Emmys 2021 ed è già stata confermata per la terza stagione che sarà rilasciata il giorno del mio compleanno.

 

Nonostante mi siano piaciute molto le prime due stagioni, non sono sicuro di proseguire. SPOILER ALERT. Alla fine della seconda stagione si sono chiusi i due principali filoni narrativi: Hughie e Starlight riescono a coronare il loro sogno d’amore mentre the Butcher ha refuso. Dagli indizi raccolti, la terza stagione farà partire delle storie completamente nuove e più intrecciate (ex. Hughie supporterà la congresswoman che è ufficialmente contro Vought ma in realtà è anche lei un Supe) che di solito non portano a niente di meglio di quanto già visto. Forse lascero' andare avanti qualche amico prima di investire altro tempo.