« ..Una volta avevo
ascoltato in una discoteca una canzone che mi era rimasta in testa, mi era
piaciuta tantissimo, ed era Alice di Francesco De Gregori. Nello stesso
tempo mi era rimasta in testa una domanda: ma perché Alice guarda i gatti
e non può guardare quel lampione là o non può guardare qualsiasi altra cosa, un
sasso piuttosto che un cespuglio, un albero? E volevo chiederglielo, però non
sapevo come, non lo conoscevo e avevo questa domanda da fargli... L'estate successiva scopro che sta iniziando a lavorare con mio padre ad un album che era Volume ottavo. Figurati, impazzisco, vado in Sardegna e me lo trovo lì, a casa. In pigiama. Che lavora con mio padre, seduto sul mio divano, con la chitarra, giovane, con la barba rossa, un po' fricchettone [...]. E allora io prendo coraggio e vado da lui. Questo è il figlio di Fabrizio, Cristiano; piacere Francesco. Comincio alla larga, poi piano piano mi convinco e un giorno: «Francesco, perché Alice guarda i gatti?» Lui mi guarda con un occhio aperto e l'altro chiuso... Non mi risponde. E non mi ha mai risposto. Anzi mi ha risposto, però in un modo abbastanza inconsueto: cioè scrivendo una canzone, con mio padre. Si chiama Oceano, e devo dire che io sono orgoglioso di questa canzone perché è stata dedicata a me. È la risposta di perché Alice guarda i gatti. Al che non mi sono più sognato di fargli domande di questo genere. »
Cristiano De Andrè
Thanks to G |
Un uomo solo che guarda il muro è soltanto un uomo solo... ma tre uomini che guardano il muro sono un principio d'evasione
mercoledì 28 dicembre 2011
Perchè Alice guarda i gatti?
giovedì 22 dicembre 2011
L'orologiaio
tranne il nostro modo di pensare...
La soluzione a questo problema risiede nel cuore dell'umanità.
Se solo l'avessi saputo, avrei fatto l'orologiaio.
Albert Einstein
martedì 22 novembre 2011
Le conseguenze di Tonino Scardi
“Dove sei? Ti devo consegnare un pacco…”
“… ma chi è? Je stonc a Istanbul!”
“Eh… a Istanbul? Ma io ti devo consegnare un pacco…”
“Se vabbuò… jamm chi è? Tonino Scardi?!?” (e mi metto a ridere)
“Vabbuò ja… chist sta a Istanbul…” (e mentre farfuglia cose incomprensibili, attacca il telefono)
“Pronto?”
“Pronto sono (Nome e Cognome)”
“Ah… sentite io non vi ho trovato…”
“Aspettate, voi dovete andare….bla bla bla”
lunedì 31 ottobre 2011
La rivoluzione dei Gormiti
domenica 7 agosto 2011
Ritorno al Futuro
1998. Primo Interrail. Dopo qualche giorno di viaggio arriviamo a Copenaghen.
Fino ad allora, senza la campana protettiva dei miei genitori, ero stato solo in Grecia. Anzi nelle Cicladi. E per la maturita’ (e molto prima di Silvio Muccino :). Insomma non ero mai stato all’estero da solo.
Ricordo la sensazione di futuro prossimo che si avvertiva: a partire dalla civilta’ delle persone per finire al bike-sharing. Ero passato dalla giungla alla civilta’. In soli cinque giorni. All’epoca non sapevo si chiamasse “cultural schock”.
2011. Sono tornato in Danimarca.
(Non che dopo quella volta non ci avessi messo piu’ piede, anzi, ci tornai piu’ volte negli anni immediatamente successivi, ma questa e’ un’altra storia)
Ci sono tornato dopo qualche anno e ho passato una giornata a Vejle: una cittadina sul mare nel mezzo dell Jutland.
Mentre in Italia non siamo ancora in grado di condividere una bicicletta, qua ormai si parla di bio-fluel. La Danimarca si e’ posta come obiettivo di non utilizzare piu’ combustibili fossili entro il 2050. Una sfida difficile, certo. Ma perlomeno significa che qualcuno guarda al di la’ di un palmo dal naso. Che obiettivi si e’ posta l’Italia per il 2050? Ma che ne sacc… e vere’ si c’arriv o’2050! E per il 2020? In Danimarca tutti i distributori di carburante dovranno avere il 20% di bio-fluel. Per legge.
E volete sapere come le so tutte quete cose?
Ho visitato un museo delle scienze interattivo. A gratis. Capito? A-GRATIS. Cosi che i ragazzini ci possono tornare finche’ non hanno capito bene come funziona la desalinizzazione dell’acqua di mare.
Stavo iniziando a riprovare quella sensazione di futuro prossimo quando, a cena, in una cittadina di cinquantamila abitanti, abbiamo conosciuto una coppia di donne omossessuali. Che aspettano un bambino. Concepito attraverso la fecondazione assistita. Pagata con i soldi dei contribuenti.
A quel punto ho immaginato i discorsi del Papa ripresi dal TG1, ho desiderato discutere del diritto alla vita con schiere di bigotti, ho gustato un altro po’ la serenita’ emenata da queste persone civilissime e ho percepito di nuovo quella senzazione di futuro. Ma remoto.
venerdì 8 aprile 2011
Il sangue di San Gennaro
A Pasqualino perché aveva sei anni e ogni mattina portava giù l’immondizia, al pescatore monco, perché ammansiva il mare, a Santo Strato, perché proteggeva il palazzo e i malati: a loro Màrai dedica il suo romanzo napoletano, ambientato nella città dove visse dal ’48 al ’52, prima di partire per gli Stati Uniti.
[…] Alcuni di questi venditori sono giovanissimi, sanno appena camminare. E ancor meno parlare – si esprimono nel dialetto roco dei napoletani, con frasi smozzicate, in una sorta di brontolio veloce e gridato. Eppure ognuno di loro sa fare il mercante, impara subito, appena si stacca dal seno materno. “La qualità” ripetono con la faccia seria.
L’oggetto del mercanteggiare importa poco. Sono somme irrisorie quando si contratta il prezzo della merce. E’ il mercanteggiare che conta. Un giorno si e uno no si presenta un ragazzino minuto, rachitico e con gli occhi lucidi dei tisici. Non ha neanche sei anni ed è sempre molto sporco. Con la cesta sul capo, sale a stento le scale del palazzo. I concetti base del commercio – la qualità della merce, la stagione, la domanda e l’offerta, il prezzo sul mercato e il prezzo speciale di Posillipo, indipendente dal corso del mercato – li esprime con poche parole. Ma nel suo comportamento, nel modo di presentarsi, di offrire la merce, di alzare gli occhi al cielo, ormai appare solo il commerciante, non più il bambino. Ascolta la controfferta, dopodiché si mette la mano sul petto, con un gesto che rivela un moto di scandalo, il disappunto di chi ha sentito una frase maleducata.
I concetti base di profitto, interesse, peso lordo, peso netto, tara hanno nutrito il suo spirito mano a mano che succhiava il latte materno. Sono concetti ereditati prima dai fenici, poi dai greci. Li ha imparati dal padre, che a sua volta li ha presi dai saraceni, dai mori, dai goti e dai normanni. Per questo è tanto logico. Sa bene che mercanteggiare non è un’impresa disperata, soprattutto se chi vende ha cinque anni, si arrampica sulle scale, suona il campanello con un vesto sulla testa, e con una mano fa vedere un’arancia ammaccata gridando con logica ferrea: “La qualità!”
In fondo è lui il più forte, perché bisogna pur comprargli qualcosa. A prezzo più alto di quello normale.
“Passo anche domani” dice, tenendo in mano trenta lire e dieci mozziconi. Sa bene che questa sua promessa fa sempre piacere agli stranieri
Adesso potrebbe anche andarsene. Ma continua a star fermo sulla soglia, con la cesta vuota in mano. Parlano solo gli occhi. Muto, con la bocca semiaperta, sta fermo davanti alla porta e aspetta qualcosa. E’ inequivocabile: aspetta il miracolo.
“Fallo un miracolo” dice, senza parlare.
“Siamo in otto. L’anno prossimo saremo in nove. E poi in dieci. E anche se qualcuno di noi muore restiamo sempre in dieci. Solo il più grande di noi va a scuola, perché a casa c’è un solo paio di scarpe. Né libri, né quaderni. Niente, non abbiamo niente. Anche lui fa solo i primi due o tre anni e poi non va più a scuola”.
Per un attimo tace. Taceva anche prima ma il silenzio era eloquente. Adesso il suo silenzio è muto. Gli occhi diventano più grandi, tondi e brillanti, come quando ci si sforza di guardare nell’oscurità, nel buio più completo. E dice, senza parlare: “Un miracolo. Sei uno straniero. Fa’ un miracolo”.
Sàndor Marai