domenica 28 marzo 2010

Un camorrista per bene

In queste settimane a Napoli e provincia è stato presentato un film che si intitola: “Un camorrista per bene”. Il titolo è un ossimoro e il film si presenta come l’Anti-Gomorra con l’obiettivo - dichiarato dal regista Enzo Acri - di dimostrare che “la mia città (ndr: Napoli) si sveglia ogni mattina per andare a lavorare. Un 3 per cento di camorra non può infangarla. Ho capito di voler girare questo film quando ho visto che un borghese romano totalmente estraneo (ndr: Garrone) si è permesso di raccontare storie che non conosce per niente” (1).
Il film è stato prodotto con un budget di un milione di euro (2), una cifra notevole per una casa di produzione (3) e un regista (4) al loro esordio sul panorama cinematografico italiano (e partenopeo). Inoltre, per rilanciare l’immagine della mia città è stata scelta una trama “sui generis” (ovviamente tratta da una storia vera): Vincenzo Barbetta, noto esponente della camorra degli anni 80, sconta in carcere una pena di 18 anni per associazione cammorristica per l'articolo 416 bis. Uscito dal carcere, […] disgustato della tanta delinquenza selvaggia che affligge la sua città, tra ex famiglie sfasciate e riunite in piccoli clan e l'invasione sul territorio di bande extracomunitarie, decide di chiedere aiuto al suo amico Luigi Altieri ex esponente del terrorismo degli anni 70, conosciuto in carcere, di fare un pò di pulizia. Barbetta si organizza con un gruppo di para militari, e iniziano a fare pulizia tra le varie famiglie camorristiche. Dopo invita tutti i vecchi capo clan ormai deboli, ad una riunione, spiegando che la loro debolezza, la loro convinzione e la troppa ingordigia ha fatto si che in tanti si distaccassero dal sistema, diventando cani sciolti, pericolosi per loro stessi e per i cittadini. Nella riunione si scusa con tutti per la mattanza fatta anche tra i loro clan, ma spiega che ha eliminato solo persone cattive e che creavano o avrebbero creato problemi. […] (5).
Il film è stato girato con tutti attori non professionisti reclutati su internet e per farvi un’idea potete guardare il suo (lunghissimo) trailer qui: http://www.youtube.com/watch?v=8jwopHCTyJQ

Consapevole che non è corretto dare un’opinione non avendo visto l’opera per intero, temo che l’unico obiettivo raggiunto da questo film sia esattamente l’opposto di quello dichiarato.

domenica 21 marzo 2010

Meglio tardi che mai

Dopo 22 mesi di sforzi e districandoci tra processi brevi medi e lunghi, siamo riusciti a farvi parlare per ben 3 ore di crisi economica e sociale…


Questo è l’inizio del discorso tenuto da Bersani alla camera in settimana. Sinceramente, mi sono sentito meno solo. Finalmente qualcuno che parla di cose concrete. Scuola, lavoro, evasione fiscale, addirittura prezzo della benzina.

Io sono il primo ad indignarsi per il diritto all’informazione, per il decreto interpretativo e per le veline al ministero. Ma sono convinto che se una volta a settimana in prima pagina ci mettessimo questi argomenti, forse riusciremmo a svegliare qualcuno dal sonno e spostare qualche voto a sinistra.

Adesso cliccate qui e buon ascolto.

lunedì 15 marzo 2010

Napoletano

Non sono un patriota, non si accelera il battito alle fanfare dell’inno nazionale. La mia patria è la lingua italiana. L’ho avuta da mia madre, dai suoi libri, dalla sua pretesa di parlarla in casa senza accento. Nell’agronolano degli anni ’80 il napoletano era lingua schiacciante, veniva dalla pressione della densità umana per metro quadro, era svelto di sillabe, servile e guappo, feroce e sdolcinato di vezzeggiativi, era una lingua di consolazione, dava forza e figura a chi la sapeva usare.

Era destrezza a usare meno sillabe, a ingiuriare più a fondo, a sfottere più scorticatamente. L’ho imparato a orecchio a forza di sconfitte sul campo della strada. Un dialetto si impara per legittima difesa. Sta nella bocca come dentro un fodero di cuoio.

In una vita puoi studiare dieci lingue, ma non due dialetti.

L’italiano è una lingua raggiunta, la amo. Per l’altra non uso il verbo amare. Al napoletano voglio bene e lui pure me ne vuole.

Gli voglio bene perché mette forza di raddoppio alla parola “ammore”, al posto del più delicato amore, e nel “dimmane” che dev’essere migliore del solito domani. Gli voglio bene perché al contrario dell’indicativo “abbiamo”, toglie peso e presunzione al verbo avere, dicendo “avimm”. Gli voglio bene perché raddoppia “primma” e “doppo” e dà cosi più consistenza al prima e al dopo, al tempo passato e a quello venturo. Mentre il presente è un frattempo che si riduce a un “mò”, sillaba di momento. E sono affezionato al verbo andare che è più veloce del mondo, “i”, più corto del già svelto “ire” latino.

Perché quando te ne devi andare, “te n’ia i”, subito.

Liberamente tratto da “Alzaia” di E.De Luca